Al Festivaletteratura di Mantova Abbiamo incontrato Maryanne Wolf, la neuroscienziata cognitivista e grande esperta del ‘cervello che legge’.
Ecco cosa ci ha raccontato.
IL CERVELLO DEI BAMBINI ALLA PROVA DEL DIGITALE
Intervista a Maryanne Wolf
a cura di Barbara Vatta e Elisa Maria Colombo
Centro per la Salute del Bambino onlus
È passato solo qualche migliaio di anni dall’invenzione della lettura. L’invenzione ha portato con sé una parziale riorganizzazione del nostro cervello, che, a sua volta, ha allargato i confini del nostro modo di pensare mutando l’evoluzione della nostra specie. La lettura è una delle invenzioni più straordinarie della storia (1).
(1) Maryanne Wolf, Proust e il calamaro. Storia e scienza del cervello che legge, Vita e Pensiero, Milano, 2009, p. 9.
Con l’avvento del digitale ci troviamo – al pari di 6000 anni fa in Mesopotamia quando abbiamo inventato la scrittura – nel bel mezzo di una transizione di portata storica, un cambiamento così grande da influire sul nostro modo di leggere, imparare e pensare. È un passaggio complesso che ci mette di fronte a grandi potenzialità e altrettanti pericoli. Tutto è cambiato molto rapidamente, le novità si sono susseguite senza darci il tempo di comprendere fino in fondo la portata di queste nuove tecnologie e il loro impatto sul nostro cervello. Molti di noi si interrogano, soprattutto se sono genitori di bambini e adolescenti, su quale sia l’uso migliore che possiamo fare di questi nuovi strumenti.
Per provare a dare delle risposte a questi dubbi siamo partite in direzione Mantova, in occasione del Festivaletteratura 2019, per incontrare una grande esperta del ‘cervello che legge’, la neuroscienziata cognitivista Maryanne Wolf. Studiosa della lettura, e in particolare della dislessia, Maryanne insegna alla Tufts University nel Massachusetts e dirige il Center for Reading and Language Research. Ha dedicato al tema del cervello che legge due libri molto importanti, che hanno suscitato un ampio dibattito non solo negli Stati Uniti, e che in Italia sono stati pubblicati dall’editore Vita e Pensiero: Proust e il calamaro del 2009, ormai un classico internazionale e, più recentemente (2018), Lettore, vieni a casa. È proprio grazie alla squisita disponibilità dell’editore, oltre che dell’autrice, che abbiamo potuto raccogliere questa intervista.
Mantova, mattina del 7 settembre 2019. Nell’accogliente cucina di Palazzo Castiglioni, alla luce di un finestrone in legno che ci regala un’atmosfera intima e familiare, sediamo attorno al tavolo tra pentole in rame e vecchie credenze, i libri e gli appunti sparsi sulla tovaglia, desiderose di saperne di più sulle ultime ricerche di questa grande scienziata e delle sue collaboratrici. Parleremo di emozioni, empatia, del potere della musica, del ritmo e della poesia per crescere buoni lettori e naturalmente del ‘cervello digitale’.
Chiediamo innanzitutto a Maryanne in che modo le emozioni influenzino il nostro cervello quando siamo impegnati nella lettura profonda di un libro o quando leggiamo con un dispositivo digitale.
Una cosa fondamentale da capire è che, quando leggiamo, usiamo tante parti diverse del cervello. Creiamo un circuito che collega solo alcuni processi, quelli per leggere e decodificare, ma per la vera lettura profonda dobbiamo aggiungere la cognizione, le emozioni e anche i processi motori. Le emozioni giocano un ruolo più importante di quanto pensiamo. Ci permettono di capire sentimenti e pensieri di un’altra persona, o un’altra epoca storica, un’altra cultura. Ci aiutano a uscire dalla nostra prospettiva e imparare cose del nostro mondo e ad andare ancora più in profondità. Nel mio ultimo libro, “Lettore, vieni a casa”, ho fatto l’esempio dell’ex presidente Barack Obama e della grande scrittrice Marilynne Robinson. Obama le disse: “Ho imparato le emozioni e l’empatia dai romanzi. Mi hanno insegnato chi sono gli altri.” L’empatia e le emozioni connesse al circuito della lettura ci permettono allora non solo di capire gli altri personaggi, ma anche chi sono le persone che forse pensavamo esserci nemiche, o persone che reputavamo così diverse da non riuscire a provare empatia per loro. Vorrei aggiungere che l’empatia ci aiuta anche a ricordare. Non solo l’empatia potenzia i sentimenti, ma attraverso i sentimenti, e le emozioni, anche quelle negative come la sorpresa, la paura o l’ilarità, riesce a potenziare la memoria, ci permette di ricordare, immagazzinare e utilizzare di più le informazioni e le esperienze.
Quindi paradossalmente arriviamo agli altri rimanendo ore da soli a leggere, come nella bella definizione della lettura data da Proust e ripresa nel tuo ultimo libro, “il miracolo fecondo d’una comunicazione in seno alla solitudine”. Oggi però viviamo un altro paradosso, molti adolescenti usano i dispositivi digitali come mezzo sociale per raggiungere gli altri ma questo purtroppo non li rende più empatici, anzi.
È vero, ci sono dei paradossi, perché apparentemente i nostri giovani sono più connessi agli altri – e questo è meraviglioso – ma la ricerca mostra che si sentono più soli che mai, addirittura depressi. C’è un unico, interessantissimo, studio fatto da Sara Konrath a Stanford, che ha scoperto che i livelli di empatia tra i giovani sono diminuiti del 40% negli ultimi vent’anni, con un picco negli ultimi dieci. C’è allora il paradosso di essere connessi e, al tempo stesso, sentirsi isolati. Una spiegazione che mi sento di suggerire è che quando sono online i ragazzi si muovono molto velocemente, leggono e guardano tutto rapidamente, sempre. Non hanno tempo di sentire davvero. È una sensazione di connessione superficiale, diversa da quella di Proust, ovvero di quando, leggendo, entriamo in profondità nei pensieri di un altro autore o di un personaggio. Quindi se si rimane a livello superficiale, che sia uno strumento digitale o un libro, non c’è il tempo per far emergere quei sentimenti profondi. Un altro studio suggerisce inoltre che più amici si hanno su Facebook, più soli ci si sente. Siamo di nuovo di fronte a un ulteriore paradosso: la quantità di collegamenti, o la sensazione di essere connessi agli altri, contro la qualità di quei collegamenti. Sono cose diverse.
Che cosa consiglieresti allora alle mamme e ai papà per cercare di fare un uso corretto delle nuove tecnologie e soprattutto per imparare a leggere bene e in profondità?
Ho tre grandi consigli per i genitori, per tre età differenti. All’inizio, come sostenete anche voi col vostro programma Nati per Leggere, è essenziale che l’amore per la lettura sia trasmesso dai genitori ai bambini. Perciò genitori, appena i vostri figli riescono a sedersi nel vostro grembo, leggete per loro, il più possibile. Proust dice che leggere inizia con un braccio attorno alle spalle. Molti genitori si dicono: “Mio figlio non mi capisce, perché dovrei leggergli delle cose?” Non sanno che i bambini vengono al mondo pronti per sentire. A due mesi, il loro sistema linguistico sta già carpendo gli elementi della lingua. La prima parte della lingua che un bambino sente è la musica ed è risaputo che la musica è collegata allo sviluppo fonologico. Poiché i neonati acquisiscono gli elementi del linguaggio già nelle prime fasi, più sentono le parole, più ne capiscono il significato. Tutto questo, dagli 0 ai 5 anni, contribuisce allo sviluppo linguistico, allo sviluppo cognitivo e allo sviluppo emotivo del bambino. Frank Hakemulder usa il termine “laboratorio morale”. Imparano le storie, gli schemi cognitivi, dalla persona che amano di più, ossia il proprio genitore, quindi è importante comunicare amore e contatto. Possiamo dire che due sono le cose essenziali all’inizio dell’infanzia: il contatto e l’amore. Quindi, primo consiglio per i genitori: leggete, parlate e cantate ai vostri bambini. Secondariamente, consiglierei di introdurre la lettura ai bambini (dagli 0 ai 10 anni) attraverso i libri di carta, fisici, in modo che i bambini possano imparare la lettura profonda. Allo stesso tempo dovrebbero sviluppare anche le abilità digitali. Dovrebbero imparare a programmare, acquisire questi importanti processi cognitivi, spaziali e motori tramite gli strumenti digitali. Non è o l’una o l’altra cosa, ma vanno portate avanti parallelamente. È molto importante. Vygotskij aveva una concezione meravigliosa: il pensiero è da una parte, il linguaggio è dall’altra, a metà strada si incrociano e insieme continuano a fondo. Quindi il secondo consiglio è la cauta costruzione di un cervello bi-alfabetizzato. Quando i bambini avranno imparato di più sulla lettura profonda, che va avanti e continua a evolversi nel tempo, le insegnanti potranno spiegare loro come si legge sullo schermo e sarà possibile arrivare, attraverso un approccio critico e cauto, alla lettura profonda su qualsiasi supporto. I nostri bambini non devono imparare le cattive abitudini di noi adulti. Il terzo consiglio è per i genitori degli adolescenti. A questi genitori direi di dare l’esempio della gioia della lettura, la gioia di leggere in solitudine, di leggere libri, di immergersi nella lettura. Possono insegnarla dando l’esempio, non costringendo i ragazzi. Non dite: “Se non lo fai, ti tolgo questo” perché non funziona. Fate in modo che conoscano quella bellezza. Questo non vuol dire necessariamente che impareranno la gioia di leggere tra gli 0 e i 15 anni, ma avranno avuto un modello durante quegli anni e questo modello poi gli rimarrà, anche quando credete che non abbiano ascoltato una parola di quello che gli avevate detto! Vi ritroverete a sorprendervi quando ripeteranno cose che gli avevate detto 10 anni prima, e allora direte: “Beh, ne è valsa la pena!”
Nel 2016 il CSB ha condotto un’indagine per capire l’atteggiamento delle famiglie nei confronti dei dispositivi digitali. È emerso che il 33% dei genitori dei bambini di età compresa tra 0 e 12 mesi, e il 57% dei genitori dei bambini di età compresa tra 24 e 36 mesi, usano spesso lo smartphone come babysitter. L’esposizione precoce dei bambini ai dispositivi digitali è sempre più comune, e questo riduce il tempo che genitori e figli trascorrono leggendo o giocando. Considerando questi dati, se non facciamo niente, cosa potrebbe succedere al cervello dei bambini?
Questa è una domanda a cui è molto difficile rispondere, perché i dati che abbiamo non sono completi. Ci sono però delle ricerche interessanti di un neuropsichiatra infantile, John Hutton di Cincinnati, sui genitori che leggono molto ai loro figli rispetto a quelli che non lo fanno. I suoi dati mostrano che le aree del linguaggio vengono stimolate molto di più nei bambini ai quali si legge ad alta voce. Lo stesso ricercatore ha condotto un altro studio nel quale voleva indagare cosa fa il cervello quando il bambino ascolta il genitore vedendo il libro, quando ascolta e basta, oppure quando guarda lo schermo, senza il genitore. I dati erano chiari: il cervello si attiva di più quando il genitore legge al bambino, si attiva di meno quando c’è solo l’ascolto, e si attiva di meno in assoluto quando c’è solo il video sullo schermo. Questo ci collega alle linee guida fornite dai pediatri negli Stati Uniti, i quali sono convinti che non dovremmo dare schermi digitali ai bambini prima dell’anno e mezzo (all’inizio avevano detto non prima dei 2 anni, ma c’era stata troppa opposizione). Le ricerche scientifiche che conosciamo indicano che l’attenzione dei bambini sta cambiando, si stanno abituando a stimolazioni così rapide e continue che non si fermano più a esplorare o a inventare. In base a quello che sappiamo oggi direi ai genitori: “Provate davvero a non lasciare il dispositivo alla portata del bambino come se fosse un giocattolo per i primi 2 anni. Non usatelo mai come babysitter”. Altrimenti il genitore inizia a farci affidamento. C’è sempre qualcosa da fare quando si è genitori. È molto più difficile senza quella cosa che tiene impegnato il bambino. Io consiglierei di evitare assolutamente i dispositivi prima dell’anno e mezzo, di renderli occasionalmente disponibili verso i 2 anni, ma non come premio, né come punizione, e tra i 2 e i 5 anni, un uso ragionevole, compreso tra i 20 e i 60 minuti. I bambini della scuola dell’infanzia vedono questi dispositivi e quindi, tra i 2 e i 5 anni, bisogna sicuramente cercare di spendere più tempo possibile a fare altre cose, ma non vietare i dispositivi elettronici. L’Eden è perduto. Non vogliamo frutti proibiti.
Per finire vorremmo chiederti, come madre e lettrice appassionata, di condividere con noi un ricordo personale sul tuo rapporto con la lettura, con i libri…
… o con i miei figli! Ho sempre pensato che mio figlio, che è dislessico e legge a fatica, non avrebbe mai amato la lettura. Mi chiedeva sempre quali fossero i miei libri preferiti, ma io pensavo che fosse inutile parlarne. Conversavamo spesso. Un giorno, avrà avuto 21 o 22 anni, mi disse: “Mamma, ce l’ho fatta”. E io: “A fare cosa?”. Mi rispose: “Ho letto Anna Karenina. Ci ho messo tutta l’estate, ma l’ho letto!” E ora legge, lentamente, ma è lui a consigliarmi libri da leggere. È incredibile! Mi vengono i brividi solo a pensarci. Non avrei mai pensato che sarebbe diventato un lettore, considerate le difficoltà, ma ora è lui a consigliarmi libri. È un’esperienza davvero gratificante. Non potrei essere più felice. Ma ci è voluto tempo!