Nel giro di pochi giorni, i volti sorridenti di due bambini uccisi dalle proprie madri sono diventati un simbolo. Due eventi resi ancora più drammatici dal fatto di avere in comune una circostanza simile: la presenza di precedenti espressioni di intenti o di pratiche violente da parte delle stesse madri. Quello che viene presentato come “dramma annunciato” e che, tuttavia, non è stato prevenuto.
A cosa possono servire queste tragedie, se non a trarne indicazioni utili a un operare più efficace da parte dei diversi servizi e figure professionali coinvolte nel lavoro con bambini, bambine e famiglie? Ce ne sono, di queste indicazioni, e sono piuttosto chiare:
1. L’urgenza del coordinamento dei servizi
La prima è che servizi, operatori e operatrici devono dotarsi di pratiche e strumenti per lavorare in modo che le informazioni siano condivise, le situazioni analizzate nella loro interezza e complessità, e le decisioni coordinate su questa base. Appare chiaro che, in entrambi i casi di violenza familiare non prevenuta, questo non sia avvenuto. È ora che il coordinamento tra servizi sociali, mondo dell’educazione/salute e sistema giudiziario diventi la norma e la prassi, sia su singoli casi che su piani e percorsi che riguardino gruppi e comunità, sempre e ovunque. Le responsabilità, certo, possono anche talvolta stare in specifiche mancanze nel lavoro di singoli professionisti o professioniste, ma la stragrande maggioranza delle mancanze si sarebbe potuta evitare con procedure chiare di condivisione tra servizi e personale.
2. L’imperativo di ascoltare i minori coinvolti
La seconda è che i bambini e le bambine vanno ascoltati. Se un minore di tre anni non è in grado di esprimere sentimenti complessi, certamente lo è uno di nove. Non si può definire una situazione familiare senza vederla e caratterizzarla anche dal punto di vista delle e dei minori coinvolti, che sono anch’essi soggetti di diritto. L’ascolto è un punto di vista imprescindibile per definire una situazione familiare a rischio.
3. Bandire gli Stereotipi di Genere nella Violenza
La terza è che occorre bandire tutti gli stereotipi ancora annidati nel pensiero, e quindi nelle azioni, di tanti operatori e operatrici. Tra questi, quello che vede sempre e comunque la figura maschile come l’unica perpetrante il male, e il ruolo materno come quello da preservare, sempre e comunque. La prevenzione degli infanticidi e la tutela dei minori richiedono di superare gli stereotipi sulla violenza familiare.
4. Privacy e segreto professionale: interpretazione a rischio
La quarta, che è un requisito per la prima, è che occorre esaminare con cura che cosa le norme sulla privacy e sul segreto professionale veramente proteggono e cosa impediscono, e come vengono interpretate. L’impressione è che informazioni cruciali si siano perse per eccessivo zelo nell’obbedienza a queste norme. Vale sempre la pena di chiedersi chi si vuole proteggere da cosa, e con quali rischi, specialmente in contesti di potenziale pericolo per l’infanzia.
Facciamo del 20 novembre, giornata dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, un momento di riflessione e non solo di giusta celebrazione.