Condividiamo il contributo della prof.ssa Paola Milani del LabRIEF – Università di Padova “Un nuovo SMARTWelfare?”
Le famiglie con cui lavoriamo hanno difficoltà nel costruire, gestire e mantenere la relazione al loro interno, ossia tra genitori e figli e nella coppia, e all’esterno, cioè nella rete sociale informale e formale. Relazioni deboli e, nello specifico, la carenza di risposte genitoriali ai bisogni di sviluppo dei bambini, e quindi le diverse forme di negligenza e povertà educativa, sociale, economica hanno effetti severi e duraturi su diverse dimensioni dello sviluppo, in particolare sulle aree cognitive e sociali. Il lavoro di P.I.P.P.I. e dei Patti di Inclusione sociale nel RdC è orientato a limitare questi effetti e a permettere ai bambini di godere di una “buona” crescita, nonostante la loro difficile condizione di partenza.
La letteratura è univoca nel sostenere che abbiamo un unico grande strumento – la relazione interpersonale e sociale- per far sì che questi bambini non rimangano schiacciati dalla fatalità di essere nati in una famiglia e in un contesto sociale che non riescono ad esprimere modalità di cura positive verso di loro. Le “patologie” della relazione si curano solo attraverso la relazione. É questa la sfida che tutti i giorni siamo abituati ad affrontare. La conosciamo bene.
L’epidemia di coronavirus ci ha trascinato però oltre la sfida: il nostro strumento di lavoro, che è orizzonte, fine e strumento al tempo stesso, -la relazione- viene a mancare. Obbedire alle necessarie disposizioni nazionali che ordinano l’isolamento sociale, ci pone dinanzi al paradosso in cui come comunità di ricercatori e operatori sociali ora ci troviamo: come essere solidali in solitaria?
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