Nascere non basta

Gli ultimi dati sull’ ennesimo calo della natalità in Italia hanno riportato come prevedibile, ma altrettanto prevedibilmente per un tempo molto breve, un po’ di pubblica attenzione al tema.

Peccato che, mentre vengono appropriatamente sottolineati i gravi danni – economici, sociali, culturali e aggiungiamoci pure quelli spirituali – di una tale situazione, i rimedi attuati e programmati si configurino, sulla base dell’esperienza, come del tutto inefficaci.

E, soprattutto, peccato che si continui a considerare il problema solo nei suoi termini qualitativi, come se l’obiettivo fosse solo quello di far nascere più bambini.

Sul piano quantitativo, occorre considerare che oltre il 60% del calo della natalità ha origini strutturali, in quanto deriva dal progressivo assottigliarsi della coorte di adulti in età fertile. Solo per mantenere la natalità al livello attuale, occorrerebbe quindi invertire, e in modo significativo, l’attuale trend in diminuzione del numero di bambini per donna (tasso di fecondità) che è ulteriormente calato, dall’1,24 del 2022 all’1,20 del 2023 (1). Per ottenere questo le ricette sono note: maggiori sostegni economici, maggiore e più stabile occupazione, accesso generalizzato e economicamente accessibile ai servizi educativi per la prima infanzia, sistema di congedi esteso in particolare quelli di paternità attualmente risibili e fruibili da pochi, accesso all’abitazione in particolare nelle grandi aree urbane, e, non ultimo, comunità, quindi Comuni, in grado di costruire paesi e città amiche dei bambini, e dei loro genitori.

Ma il problema si pone con almeno altrettanta urgenza sul piano qualitativo. Occorre mettere al centro non solo il numero dei nuovi nati, ma le loro opportunità di crescere bene, in ambienti familiari adeguati dal punto di vista affettivo ed educativo oltre che di sicurezza nutrizionale e materiale.  

Non pare che ci si renda conto che l’Italia, come tutti gli altri paesi peraltro, abbia prima di tutto bisogno di bambini e bambine, ragazzi e ragazze sane, capaci e motivati ad apprendere, e di dare un contributo alle loro comunità e magari un domani al paese intero. Ma anche su questo versante, qualitativo, non solo su quello dei numeri, il trend non è positivo. Abbiamo sempre più bambini e bambine con problemi di apprendimento e comportamento nelle scuole (uno su dieci), più ragazzi e ragazze con problemi di salute mentale (2 su 10), con una socialità malata (parla la cronaca quotidiana), in condizioni di povertà materiale (1 su 7) nutrizionale, educativa (1 su 5) e di opportunità di trovare punti di riferimento e fonti di motivazione (probabilmente la maggioranza).

Anche da un punto di vista riduttivamente economico, questo malessere crescente configura un futuro in cui non solo non avremo chi ci paga le pensioni, ma avremo crescenti costi sociali. Quelli dei servizi per far fronte a nuovi e moltiplicati bisogni (basti veder le crescenti liste di attesa per tutto quello che appartiene alla sfera della neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza); e, poiché questi servizi sono gravemente carenti in quasi tutto il paese, quelli di una proporzione crescente della gioventù bisognosa di ricevere aiuto e supporto dalle comunità piuttosto che capace di offrirlo, capace di creare conflitto ed esclusione piuttosto che comprensione e coesione.

Il Governo non pare in grado di affrontare il problema quantitativo in modo adeguato alle dimensioni e all’importanza del problema, pur sottolineato a parole e perfino nella ridefinizione delle deleghe ministeriali. Men che meno a capire che il problema non si pone solo nei termini di avere più nati. Sotto questo aspetto, peraltro, la mancanza di consapevolezza è trasversale a tutto lo schieramento politico. Allora, e comunque, la responsabilità di agire deve andare anche alle Regioni, ai Comuni, agli ambiti territoriali. E al mondo delle aziende, strutturalmente capace di maggiore attenzione sul tema del capitale umano.

Come affermato da un documento fondamentale prodotto dalle maggiori agenzie internazionali, tra cui OMS Unicef e Banca Mondiale, investire sull’infanzia è un affare dell’intera società (3). Un affare urgente. Il mondo scappa in direzioni imprevedibili ma molto probabilmente caratterizzate da crescenti avversità. Chi le affronterà, con quali risorse e competenze, costituisce il problema centrale del nostro tempo.

Il problema centrale del nostro tempo è essere capaci di costruire villaggi, comunità, paesi adeguati a nascere, e soprattutto a crescere bene. E di sostenere le famiglie nel loro ruolo educativo. Tutte, in modo continuo almeno per il primo anno, e integrato tra i diversi servizi (4).

Giorgio Tamburlini
(Articolo pubblicato il 9 aprile 2024 su Il Gazzettino)

  1. ISTAT. Natalità 2023.
  2. ISTAT. Statistica-report-alunni-con-disabilità-as.-22-23.pdf
  3. WHO (OMS), UNICEF, World Bank Group. Nurturing care for early childhood development: a Framework for helping children survive and thrive to transform health and human potential.

               World Health Organization; 2018 (disponibile in versione italiana su www.csbonlus.org).

  • Alleanza per l’Infanzia. Politiche educative e servizi integrati per la prima infanzia e i genitori: una sfida che parte dai territori. Roma, gennaio 2024.